venerdì 29 gennaio 2010

FELLLINI/PETRONIO





Satyricon è una liberissima rielaborazione del testo frammentario e lacunoso attribuito a Petronio.
Va subito detto che tale lacunosità giova, anziché nuocere alla potenza visionaria di Fellini, che, utilizzando la base letteraria del testo e conservandone l’esile traccia e i nomi dei personaggi, vi proietta tutto il suo mondo. Nessun testo letterario sembra infatti appartenere di più alla congenialità poetica di Fellini e alla sua adesione naturale al mondo romano (antico e moderno), che è in definitiva il DNA del suo universo poetico. Infatti il Satyricon è un’opera densa di situazioni e di fatti che si prestano in modo straordinario a rappresentare (in un microcosmo spaziotemporale astratto) l’idea della morte, la concezione latina dell’esistenza, l’irrazionalità degli istinti, la sessualità mortuaria, l’assoluta assenza di preoccupazioni morali nell’agire umano, il tutto inserito in un contenitore narrativo caratterizzato dalla satira, cui allude lo stesso titolo.
L’attenzione figurativa prestata alla composizione delle immagini tende nel Satyricon a sottolineare il carattere di estraneità (quasi da fantascienza) nel quale i personaggi della storia compiono le loro azioni, in una logica lontanissima dall’età presente. Nel Satyricon proprio questo estraniamento dei personaggi, tutti amorali, permette a Fellini non tanto di approdare ad una stravaganza espressiva (che sarebbe stata una pericolosa ricaduta nel barocco di Giulietta degli Spiriti) quanto invece ad un realismo archeologico che dà vita in modo sorprendentemente vivo, al passato remoto di una società che non conosce alcuna distinzione tra il bene e il male. Il testo di Petronio è ricco di riferimenti espliciti alla morte, che riflette una filosofia della vita ben presente non solo nel film omonimo, diretto da Fellini con vibrante partecipazione, ma in tutte le opere, con maggiore o minore insistenza. Nessun personaggio del Satyricon petroniano si conforma a valori superiori. Tutte le azioni, quali che siano, sano uguali. Non compare mai il problema della responsabilità né la ricerca sul significato della vita, ma tutto è ridotto a pura pulsionalità che si esprime liberamente, a istinto, senza coscienza, a passionalità senza ragione, a fisiologia senza pudore. Anche nel Satyricon di Fellini non si rintraccia alcuna tensione morale o religiosa (come avveniva nei primi film) e tutti i personaggi fluttuano in un mondo che non è capace di provare sentimenti e che soprattutto non prova il bisogno di soffrire per la miseria o il dolore altrui. Come Petronio, Fellini guarda al mondo del Satyricon con uno sguardo entomologico, che proviene da quello spirito e quella particolarissima sensibilità latina tendente a ridurre il fenomeno della vita a pura sensazione fisica, corporea, nella quale tuttavia è eternamente presente la malinconia della fine. Fellini ha introdotto nel suo film, come del resto era logico, episodi e personaggi che nel testo latino non ci sono, ma che, data anche l’estrema lacunosità del testo, potevano esserci, come per esempio la sequenza del Minotauro o la rappresentazione teatrale, tutta parlata in latino. Del resto Fellini aveva affermato a più riprese, nel corso di numerose interviste mentre il film veniva girato, che la parte più interessante del testo latino erano proprio i puntini di sospensione, che gli permettevano di colmare quelle lacune con inserti immaginati.
Fellini ha rappresentato, è vero, tutto l’orrore di quel mondo, e lo ha fatto con un distacco tale da rendere quella società e quegli uomini ancora più veri. La prospettiva entomologica con cui Fellini guarda in genere alla realtà umana non è freddezza, ma al contrario, necessità della distanza, senza la quale, come per i presbiti, non si potrebbe leggere. L’idea della morte, il sentimento latino dell’esistenza, la malinconia e la gioia solare della vita trovano nel Satyricon una naturale collocazione. I sentimenti sono ridotti ad istinti, l’amore a sesso.
Nell’esile storia di tre ragazzi omosessuali, Encolpio, Ascilto e Gitone, si innestano i riti di una società che ha un altissimo senso della vita, sia pure ridotta alle pure e semplici funzioni del corpo, come il mangiare, il bere, il piacere in tutte le sue forme materiali. L’evanescenza della vita traluce nella consapevolezza che tutto si riduce all’unica fonte che ci rende vivi: il godere. Nella dimensione materialistica dei Romani (non solo antichi), Fellini ha espresso tutta la sua filosofia della vita, che non consiste ovviamente nell’esaltazione di quel modo di vivere, ma nel riconoscimento che questo è una risposta alla caducità della vita e alla presenza incombente della morte. Delle cose che Fellini ha recuperato del testo latino, a parte la traccia del vagabondare dei tre protagonisti, è significativo che sia rimasto (ma non poteva non rimanere) la cena di Trimalcione, l’aneddoto della matrona di Efeso, la perdita della potenza virile. Quello che probabilmente ha colpito di più la fantasia di Fellini e che lo ha indotto a tradurre in un film il Satyricon è il senso evidente di passaggio, che si avverte anche nel testo di Petronio, dello spirito romano da un atteggiamento di sicurezza di sé e di dominio, al lento maturare di inquietudini e di interrogativi senza risposta, anche in senso politico. Se il racconto di Petronio è uno specchio realistico della società neroniana, è anche un documento sulle piccole città di provincia della Magna Grecia, che vivono ai margini del potere, popolate di puttane, lenoni, ladri, omosessuali, patrizie ninfomani, liberti, imbroglioni, parvenus, gente da osteria.
L’assoluto realismo con cui Petronio ha descritto i suoi personaggi si è coniugato felicemente con la fantasia e la sensibilità di Fellini, sempre teso a cogliere nelle singole situazioni e nei singoli personaggi la materialità di un mondo che ha sentito con prepotenza non solo il pulsare della vita, ma anche e insieme il senso malinconico della morte. Così sia la cena di Trimalcione, sia la novella della matrona di Efeso esprimono, in termini rovesciati, l’intrecciarsi della materia vivente con la morte. Nella cena di Trimalcione il fisiologico puro, espresso nell’innocente sozzura del mangiare, del vomitare, dell’evacuare e della sazietà, porta alla messa in scena della morte e all’evocazione del funerale da vivo. Nella matrona di Efeso, al contrario, è la morte che produce il sesso e la materialità indifferente dei sentimenti. Nel primo caso è lo stomaco che conduce alla morte, nel secondo è la morte che porta ai genitali; così che il vitalismo laido e sfrenato ha un suo sbocco nella morte, come dimostra la struggente ultima sequenza, con la scena di un cannibalismo freddo e razionale, consumato nei colori lividi di un’alba in riva al mare, mentre la morte ha una sua sublimazione nell’esaltazione stessa della vita.
Materia congeniale alla personalità di Fellini, poeta miracolosamente sopravvissuto alla civiltà mediterranea, latina e pagana, il Satyricon ripercorre, con lucida pregnanza espressiva, i temi centrali di una poetica profondamente attaccata al sentimento latino della vita, e per di più con il fascino segreto che questi temi latini sono sviluppati senza mediazioni.